L’arte occidentale ha sempre cercato di lacerare con un colpo di mano le camicie di forza del corpo imprigionato: ma a nessuno questa insurrezione è riuscita come a Max Ernst nei romanzi-collages che inventò e portò al culmine tra il 1929 e il 1934. Sono immagini accompagnate da rapinose didascalie e ritagliate dalle illustrazioni dei romanzi d’appendice dell’Ottocento e dei primi del Novecento, folte di fanciulle sensuali e innocenti insidiate da tenebrosi allievi di Sade, e di messieurs in abito nero e ghette che nascondono manie vergognose, mentre sullo sfondo freme “la città piena di sogni” di Baudelaire e ancora “lo spettro adesca il passante in pieno giorno”. Un allestimento onirico ereditato dai feuilleton, dunque, ma che Ernst, con il suo montaggio fatto di accostamenti misteriosi e tagli oscuri, di esaltazione del caso e di ebbrezza dell’analogia, con il suo cinema al ralenti e il suo fumetto per soli adulti bambini, ha saputo trasformare in vessillo della sommossa perenne del desiderio.

Le immagini qui di seguito sono tratte dal libro “Une semaine de bonté” (A week of kindness), del 1934.

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